LA PSICANALISI SECONDO
SCIACCHITANO

"TU PUOI SAPERE, SE LASCI CADERE IL LOGOS"

creata il 24 marzo 2009 aggiornata il 26 marzo 2009

 

 

Il linguaggio è al tempo stesso la casa dell’essere e la dimora dell’essenza umana.
Martin Heidegger, Lettera sull’“Umanismo”, 1949

Questa pagina su Benjamin, come tante altre di questo sito, ha una giustificazione sui generis, per non dire bizzarra. Non è giustificata, infatti, dal valore culturale del personaggio, che è fuori discussione, ma dal contributo che l’autore Benjamin dà alla comprensione, prima che alla soluzione, di un problema attualmente trascurato dagli uomini di cultura: il logocentrismo.


Oggi si tocca con mano la resistenza alla scienza. La scienza è dappertutto sotto processo. Sono tante le testimonianze che sfilano davanti alle assise convocate per giudicare la scienza. Eccone un elenco incompleto. La scienza è venduta al capitalismo. La scienza è responsabile della decadenza religiosa. La scienza è disumana. La scienza è contro la vita. La scienza è immorale, quindi pericolosa. Perciò bisogna istituire commissioni che la controllino. La scienza è una pratica ideologica che annulla le istanze di verità del soggetto ecc. Perciò va espunta dalla psicanalisi. In nome di quale ideale si tengono questi discorsi? Non c’è una posizione culturale precisa: si va dalle ansie creazioniste dei protestanti americani, schierati contro il darwinismo, alla generica fobia  della matematica, in nome di una cultura che privilegia la letteratura e l’arte di ampio consumo. Contro la scienza si invoca la medicina, che dovrebbe essere la scienza applicata all’uomo e in funzione dell’uomo. Senza entrare in polemiche sterili direi che si respira un’atmosfera genericamente nostalgica. Direi che si tratta della nostalgia umanistica, cioè la nostalgia di una saggezza umana, forse anche di una sapienza, che crei una diga alla marea montante del progresso tecnologico, impropriamente identificato con il progresso del discorso scientifico, giudicato arido, insensibile al disagio civile dell’uomo contemporaneo e incapace di formulare proposte politiche efficaci.
Venendo allo specifico della psicanalisi, la resistenza alla scienza produce varianti dottrinarie del freudismo, considerato un rimasuglio della scienza positivista ottocentesca. Queste reazioni a Freud, in gran parte giustificabili, hanno un loro più o meno lungo periodo di moda e poi decadono. Ne enumero qualcuna: il generico psicologismo di Jung, il bioenergetismo di Reich, il riformismo psicanalitico di Fromm, il fallologocentrismo di Lacan.


Personalmente, grazie alla frequentazione di Benjamin, ho la pretesa di aver individuato il nucleo solido – quasi un buco nero – di questa galassia psicologica, vagamente antiscientifica. Io lo chiamo logocentrismo. C'è, invece, chi parla di dissoluzione del simbolico, cfr. per esempio Paulo Barone, in Età della polvere. Giacometti, Heidegger, Kant, Hegel, Schopenhauer e lo spazio estetico della caducità (Marsilio, Venezia 1999), Junghismo (Cortina, Milano 2005), Vicissitudini della vita psichica ("aut aut", 328, 2005, pp. 5-29). Non so. Non ho sufficienti elementi per affermare tanto. Ho risposto in chiave ironica a Paulo Barone nel mio E se l'animale "non" rispondesse ("aut aut", 328, 2005, pp. 31-39. Il tema del mutismo dell'animale è praticamente il fulcro del saggio linguistico del 1916 del giovane Benjamin ). Tuttavia, non sono ottimista. Non credo che si possa combattere ad armi pari il buco nero onnivoro e totodissolutore al centro dell'universo simbolico moderno. Un buco nero si può solo evitare, girando alla larga, insegnano i fisici. A tal fine bisogna, però, saperlo riconoscere e diagnosticarlo in tempo, per non cascarci dentro, fatalmente attratti. Per la terapia si vedrà. Per ora abbiamo pochi strumenti e solo misure palliative.
Parto dal caso che conosco meglio: il lacanismo. Qual è la forza di questo movimento psicanalitico, giudicato eretico? Lo dico con una parola sola: il suo logocentrismo o fallologocentrismo, secondo Derrida. Il logocentrismo è, a tutt’oggi, la migliore arma per combattere la scienza, che possono usare indifferentemente religiosi e laici.

Ma cosa intendi con logocentrismo?


Con “logocentrismo” intendo la posizione di chi ritiene che tutto lo scibile si riduca alla e si comunichi mediante la parola. In termini tecnici lacaniani, tutta la verità è nel significante.
Il logocentrismo, ovviamente, non è un’invenzione del dottor Lacan. Lacan assoggetta ai propri scopi antiscientifici una nobile tradizione. La filosofia greca nasce logocentrica. In Occidente la verità è figlia della parola, del logos. “Io, la verità, parlo”, ribadisce retoricamente il dottor Lacan. L’amante della verità ascolta la parola per distillarne il vero senso , che di solito è il senso dell’essere. L’ontologia si fa allora forte dell’ermeneutica, l’arte dell’interpretazione. Chi vuole negare che la psicanalisi sia, in fin dei conti, una nuova ermeneutica? E, se è ermeneutica, è necessariamente logocentrica. Non si fa forse a parole una buona interpretazione?


All'interno della cornice logocentrica di questa pagina riporto due saggi di filosofia del linguaggio di Benjamin, che presentano il logocentrismo in forma pura: il saggio giovanile sul linguaggio (Über Sprache überhaupt und über die Sprache des Menschen, 1916) e il saggio sulla traduzione (Die Aufgabe des Übersetzers, 1920). A questi aggiungo il saggio sulla violenza (Zur Kritik der Gewalt, 1921-1922), come esempio di analisi logocentrica dell’attività politica dell’uomo, che ha molto da insegnare sull’origine delle ideologie. La presentazione benjaminiana del logocentrismo è a mio parere magistrale. Non sarà in futuro facilmente superata. Chi farà la non piccola fatica di assimilare la lezione di Benjamin sarà alla fine premiato. Anche chi parte da posizioni non logocentriche può trarre spunti analitici interessanti dai saggi di Benjamin qui riportati. Al termine della loro lettura uscirà agguerrito contro la seduzione umanistica in generale, logocentrica in particolare. Pronto per affrontare il discorso scientifico, che proprio logocentrico non è.

Dopo questa lettura di Benjamin, chissà che non si possa affrontare con maggior profitto “Le parole e le cose” (1966) di Foucault, leggendolo come verità della fenomenologia.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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